Era un'estate torrida delle mie scuole medie. Mi stavo annoiando a morte. Mio padre mi convocò davanti allo scaffale dei libri di famiglia e mi disse: "Ti ho mai parlato di Kon-Tiki? È un libro che apparteneva a tuo nonno e lo lessi quando ero un ragazzino. Tieni. Leggilo.".
Mi allungò questo libro dalle dimensioni modeste, rilegato da una copertina datata ma spessa e resistente, di colore vinaccia; sul dorso e sulla parte frontale c'era disegnata una faccia tribale, tipo maschera aborigena (per gli amanti di Crash Bandicoot, potrebbe ricordare vagamente Aku Aku)...iniziai subito a sfogliarlo incuriosito. Le pagine erano leggermente ingiallite dal tempo e in alcuni tratti la colla faceva del suo meglio per evitare che queste si staccassero.
Era un libro particolare, con pagine scritte intervallate da frequenti foto con didascalie. Molto curioso.
Guardai mio padre con fare interrogativo e lui cercò di rispondermi senza rispondermi...al tempo non esisteva ancora il concetto di "spoiler", ma oggi potremmo dire che volle evitare di farmeli: "È una storia vera. La storia di una spedizione incredibile organizzata da un uomo altrettanto incredibile: Thor Heyerdahl". Ne sapevo quanto prima, ma ne sapevo comunque abbastanza per esserne incuriosito.
Decisi così di dare una possibilità a quel testo...ed è forse una delle più belle esperienze che mi porto nel cuore. Volete per il contesto affettivo, volete perché il me ragazzino si è davvero appassionato a quello che stava leggendo, ma è una storia che nel bene e nel male consiglio a tutti.
Non voglio dilungarmi sul libro però...Piuttosto voglio parlare delle imprese di Heyerdahl.
Uno studioso, un antropologo, che non si è limitato a ricercare, studiare e teorizzare...no. È andato oltre. Lui ha deciso anche di verificare le sue teorie in prima persona, mettendosi in gioco e in un certo senso rischiando anche la pellaccia norvegese!
Il Dr. Heyerdahl fu un importante studioso nel campo dell'antropologia che non condivideva più di tanto le teorie mainstream riguardanti la diffusione per mare dei vari popoli. Aveva sue teorie precise su come l'umanità avesse colonizzato per mare determinate aree del pianeta e su come quindi determinati popoli discendessero/fossero imparentati con altri.
La prima importante, da cui ha avuto inizio l'avventura di Kon-Tiki, è quella secondo cui la Polinesia sia stata colonizzata in epoca precolombiana da popoli del Sud America: secondo lo studioso infatti, ci sono troppi punti di contatto e caratteristiche comuni tra le culture sud americane e le culture polinesiane.
<<Già, è arrivato Thor a stravolgere la storia ahahah bravo Thor...tutto molto interessante, peccato non si abbiano prove tangibili di questa colonizzazione e molto probabilmente le popolazioni del tempo non avevano nemmeno i mezzi per affrontare una navigazione così pericolosa come quella nell'Oceano Pacifico alla volta della Polinesia. Dai Thor, è stato bello uscire per una birra, ma ora devo andare a casa che mi aspettano...>>
<<Ragazzi, nessun problema: ci penso io.>>
E ci pensò davvero lui. Si documentò nei minimi dettagli sugli strumenti e i materiali a disposizione delle popolazioni precolombiane, radunò un team composto da altre cinque persone (quattro norvegesi e uno svedese) e costruì una zattera: nove tronchi di legno di balsa lunghi 14 metri, accostati uno accanto all'altro e tenuti insieme da altro legname e fusti, con un albero maestro e una vela, tutto assemblato usando rigorosamente tecniche manuali, senza l'ausilio di strumentazione moderna.
La spedizione poteva partire. Le uniche cose moderne che si portarono appresso furono: tre apparecchi radiotrasmittenti a tenuta d'acqua, per poter comunicare con la terraferma e dare aggiornamenti, alcune razioni da campo sperimentali offerte dall'esercito americano e una macchina fotografica per documentare i momenti di vita quotidiana lungo la traversata.
Tutto il resto erano prodotti e strumenti non moderni: serbatoi di bambù per l'acqua piovana, cocco, patate dolci, frutta varia, canne e attrezzi da pesca rudimentali.
Il 28 Aprile 1947, dal porto di Callao in Perù, sei uomini nord europei a bordo di una zattera davano inizio ad una traversata di 101 giorni e 6890 Km, conclusasi nell'atollo di Raroia, Isole Tuamotu, quando l'imbarcazione, spinta dalla forza del mare, naufragò sulla scogliera corallina rendendo impraticabile il proseguimento. Ce l'avevano fatta. Anche se con un epilogo non perfetto, erano comunque arrivati in Polinesia. Ciò che fino a tre mesi prima era impossibile, improvvisamente era diventato possibile, plausibile e probabile: i nostri antenati del Sud America potevano aver colonizzato le isole della Polinesia. Thor era riuscito a trasformare di persona la sua teoria in pratica.
E se questa spedizione non bastasse a farvi capire che tipo di persona fosse Thor Heyerdahl, circa venti anni dopo fu il protagonista di un'altra spedizione. Tra le tante idee infatti, teorizzò anche che la somiglianza culturale tra i popoli precolombiani e le popolazioni assiro-babilonesi-egizie non è dovuta al caso e per non essere da meno, organizzò una nuova traversata con le stesse modalità della precedente: questa volta però avrebbe viaggiato dal Nord-Africa all'America.
Con un equipaggio composto da sette uomini di nazionalità diverse, salpò dal Marocco alla volta dei Caraibi con un'imbarcazione in giunco assemblata a mano (basandosi su documentazioni di antiche imbarcazioni egizie troppo grandi per la sola navigazione sul Nilo) battezzata Ra, come il dio egizio del sole.
Ra, purtroppo, era stata costruita male e ad un certo punto ebbe dei problemi seri al timone che si ruppe. La spedizione venne interrotta, ma la barca aveva comunque percorso circa 5000 Km in 8 settimane. Con una settimana in più di navigazione, avrebbe raggiunto la meta.
La storia potrebbe fermarsi qui, con una spedizione fallita e una teoria non del tutto dimostrata, ma stiamo parlando di Thor Heyerdahl: senza farsi scoraggiare troppo e determinato a voler dimostrare anche questa sua teoria, un anno dopo circa, rimise in piedi la spedizione precedente; costruì una nuova imbarcazione, la Ra II, facendosi aiutare da quattro indigeni Aymara del lago Titicaca (dove esistono barche simili a quelle di giunco dell’antica Mesopotamia ed Egitto), richiamò il precedente equipaggio e risalpò dal Marocco.
In 57 giorni e 6100 Km attraccò alle Barbados, nei Caraibi, con la Ra II e tutto il suo equipaggio. Ancora una volta, il nostro Thor, riuscì a mettere in dubbio concretamente le convizioni degli antropologi di tutto il mondo; era possibilissimo a questo punto, infatti, che le popolazioni del Mediterraneo avessero avuto contatti con le popolazione del Centro e del Sud America prima della scoperta del continente da parte di Cristoforo Colombo.
Thor Heyerdahl guidò molte altre spedizioni, ma queste di cui vi ho raccontato sono le due che più mi hanno colpito e piacciono.
Onestamente mi chiedo come mai non ci sia un approfondimento, un riferimento o anche solo un accenno al Dr. Heyerdahl ed alle sue imprese sui libri di storia scolastici. O meglio, sui miei o su quelli dei miei figli non ci sono mai stati e quando si parla per esempio di popolazioni egizie e/o sudamericane, la prima cosa che a scuola insegnano è che i due popoli non possono essere entrati in contatto tra loro, ignorando e trascurando totalmente il fatto che uno studioso norvegese, mentre tutti erano col naso all'insù estasiati dall'uomo sulla Luna, ha in parte riscritto la storia dei popoli antichi.
È un peccato. È un peccato che questo studioso, che questo uomo e le sue imprese, siano sconosciute ai più. È un peccato perché penso che Heyerdahl non sia solo un antropologo, un uomo di scienza. Thor Heyerdahl è un esempio. Un esempio per tutte quelle volte che abbiamo un'idea, un interesse, una teoria, ma non mettiamo mai in gioco noi stessi. Abbozziamo l'idea o magari la condividiamo anche, ma poi alla prima critica e/o perplessità del prossimo, la scartiamo. Ci scoraggiamo.
Spesso e volentieri è comodo restare nella nostra comfort zone delle elucubrazioni mentali, senza andare oltre. Senza osare. Senza prendere il largo. Rimanere nel nostro salotto a parlare e parlare e parlare, facendoci scudo con le parole, la dialettica e le belle frasi. Pensare e riflettere è fondamentale, ma anche agire lo è. Credere in ciò che pensiamo e non fermarci. Qualunque cosa possano dire, qualunque cosa possano pensare gli altri, noi abbiamo questa idea e perché non provare a portarla fino in fondo? Magari naufragando anche su una metaforica scogliera corallina o litigando con un timone rotto che ci ostacola la navigazione nella vita.
Dovremmo essere tutti un po' più protagonisti, dovremmo essere tutti un po' più Thor Heyerdahl.